mercoledì 10 aprile 2013

Giustizia e perdono

Sembra che non sia possibile perdonare senza giustizia; se una situazione la si percepisce ingiusta (causata da circostanze ma anche, e soprattutto, da altre persone), questa percezione impedisce di lasciare andare la sensazione di aver diritto ad un risarcimento.

Poco importa se non esiste più la pena di morte o i lavori forzati a vita: anche combattere anni di avvocati e udienze per un pezzetto di terra o un assegno di mantenimento è guerra. Poco importa anche chi ha ragione.

Sembra che guarigione e giustizia siano due cose separate: si può guarire anche stando in una situazione ingiusta, ci sono casi fin troppo evidenti. Andando nel religioso si può citare il "perdona Padre, perché non sanno quello che fanno", senza però essere religiosi si può pensare agli schiavi dell'America  nel diciannovesimo secolo, o anche di altre epoche.

Schiavo eppure composto in questo destino avverso. Non lamentarsi, non ribellarsi. Questo è adatttamento? Guarire... o piuttosto rassegnazione? Dove sta il confine tra "perdonare" (e quindi guarire) o "rassegnarsi" (e quindi sopportare)?

E' necessaria la giustizia (per guarire internamente, intendo)? E' per me una questione aperta, ancora.


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