martedì 23 aprile 2013

piena responsabilità

Incomincio a credere che il succo di tutto questo "guarire" sia in realtà uno solo: riconoscere la inevitabilità di questa situazione che io giudico negativa date le premesse (familiari, di temperamento, comportamentali, economiche, ecc...).

In questo modo, almeno, si elimina un problema, che è quello del perdonarsi. Ma qui c'è il grosso ostacolo, vero, forse unico: il perdonarsi implica che, almeno su un certo piano di realtà (poi si può anche considerare che quel piano non sia reale, ma si va un passo alla volta) si sia fatto qualcosa di male. Se noi giudichiamo la situazione presente negativa il male da qualche parte è stato iniettato.

Questo è un compito se vogliamo facile, perché la nostra mente è abituata ad un tempo lineare, a relazioni causa effetto. Si può partire con una semplice domanda: qual è stato l'ultimo periodo felice? Supponiamo che la risposta sia vent'anni fa.

A quel punto si analizza cosa sia successo dopo quel periodo e la piena responsabilità suppone che in realtà gran parte (se non tutto) ciò che è successo dopo sia in realtà responsabilità nostra. La mente, di solito, a questo punto tenta di difendersi, dicendo che la sua azione era una reazione a qualcosa accaduto prima...

Ma se c'è stata una reazione allora quel periodo non era veramente felice, perché la mente coltivava ancora un certo desiderio di vendetta. E così si torna ancora indietro. Con questa catena in genere si può tornare indietro fino ai primi anni di vita, ed allora? A questo punto si hanno due scelte: o si tiene per vera questa catena di azione-reazione, oppure la si perdona, perché, date quelle premesse, il meglio che si poteva fare era quello.

Ma non è un passaggio lineare e manca la gestione della rabbia che questo comporta. Ci si deve ragionare meglio.

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