domenica 28 aprile 2013

This is it!

this is it!, questo è quello che c'è, niente da aggiungere, niente da togliere. La realtà per un bambino è questa, non può scegliere i genitori, non può scegliere la lingua, la nazione, il contesto, non più di una pianta che nasce dove il seme si è posato.

This is it. Il bimbo sa perfettamente questo e non se ne cura, cerca sempre di cavarne il massimo in ogni circostanza perché sa che ogni circostanza è in realtà una sola, quella presente: this is it, appunto.

Questo inerente surrender in parte si può spiegare con la relativa debolezza di un bimbo: ma questa debolezza è anche la sua estrema forza: così come il cranio di un adulto sarebbe schiacciato se in proporzione subisse la stessa compressione del canale del parto, così la psiche di un adulto viene frantumata (può esserlo) per gli stessi traumi che un bimbo invece risolve o, comunque, ne viene a capo, sopravvive.

Ma cosa vuol dire guarire? Un bimbo che nasce in una famiglia abusante o maltrattante, che ha un padre violento o una madre anaffettiva guarisce? Sopravvive, certo, avrà dei sostituti, si inventerà delle favole, parlerà ad amici immaginari, svilupperà una sensibilità diversa... è guarire questo? O non sono invece delle tare che si porterà nell'età adulta, che lo condizioneranno nei suoi rapporti successivi?

D'altra parte un adulto in una stessa condizione si preoccupa, cerca di cambiare, sta male, cerca conforto in amici veri, o magari in amici immaginari (alcool, psicofarmaci o anche droghe), ha altre strategie di sopravvivenza.

Guarisce un adulto?

Forse la chiave è unire la forza dell'adulto con la capacità di sopportazione di un bambino. Entrambe sono necessarie. Un bimbo non guarisce ma sopravvive, un adulto potrebbe guarire ma prima di guarire deve accettare che quello che ha di fronte è. Non importa chi o cosa o quando, è. This is it.

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