mercoledì 8 maggio 2013

La sofferenza è sempre un optional

Nella vita soffrire è sempre un optional; alla fine tutte le correnti di pensiero spirituali si riducono a questo: "Fa' quel che vuoi, ma se proprio vuoi sapere la verità allora è questa: la sofferenza è opzionale, non fa parte del pacchetto turistico del viaggio su questa terra".

Ma... ma ho perso il lavoro, ho perso i soldi, mi ha lasciato la ragazza, ecc... le circostanze sono neutre. Direbbe il "guru" di turno. Una morte è un fatto neutro, la malattia anche, l'abbandono anche: sono le etichette che noi diamo a questi fatti che danno la sofferenza.

Nondimeno è anche vero che umanamente certe cose fanno soffrire, non c'è guru che tenga: allora a quel punto il guru di turno dice: "Sì, ok, puoi soffrire, non c'è nulla di male in questo, anzi, basta che non ti attacchi alla sofferenza, la puoi invece usare per risvegliarti".

La sofferenza c'è. Non è un optional, quello che è veramente un optional è il soffrire con rabbia, chiudersi nella sofferenza e prolungarla anche oltre un tempo ragionevole e in contesti distanti dalla sofferenza stessa.

C'è quindi una gran differenza fra soffrire e basta e soffrire sapendo di soffrire, perché nel primo caso la sofferenza è fine a se stessa, è come il complementare della masturbazione. Non a caso si chiamano a volte seghe mentali, ossia sofferenze fine a se stesse.

E la sega mentale è sempre un optional. In questo senso è vero: si può anche scegliere di non soffrire.

La sofferenza intera, quella dell'essere, esiste ed è ineliminabile, ed è per molti (se non per tutti) il motore che permette (potrebbe permettere) di arrivare alla verità.

Ma cosa distingue una sega mentale da una sofferenza esistenzialmente valida?

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